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Cosa sono per te i problemi e come li affronti?

 



Ti capita spesso di trovarti di fronte a problemi o condizioni stressanti?

Hai mai riflettuto su quali sono le tue reazioni più frequenti e alla loro funzionalità?

Lo stress caratterizza la nostra vita e quotidianità, ed ognuno di noi utilizza delle modalità piuttosto che altre per reagire o provare a gestirlo.
 
Parto con un affermazione alla quale spesso non diamo particolare importanza: lo stress può essere sia positivo, sia negativo.

 
Hans Selye in letteratura fece una distinzione tra distress ed eustress.
 
  • Distress è lo stress negativo, quando stimoli stressanti, capaci di aumentare le secrezioni ormonali, attivano un logorio progressivo fino alla rottura delle difese psicofisiche.
  • Eustress è invece quello positivo, quando uno o più stimoli, anche differenti, allenano la capacità di adattamento psicofisica individuale. Può essere definito anche come una forma di energia utilizzata per raggiungere più agevolmente un obiettivo. L’individuo necessita infatti anche di questi stimoli, ambientali, che lo spingono ad adattarsi.
Quindi quando senti di vivere un evento stressante chiediti se è positivo o meno, se può comportare una dimensione funzionale all’adattamento ed al tuo sviluppo.

Talvolta una situazione stressante può essere utile.
Lo stress può essere nemico, e anche amico.

Lazarus e Folkman definiscono fondamentali gli stili e le risorse di reazione - anche chiamate coping - nel valutare stressante o meno un evento. Considerano la relazione tra persona e ambiente come bidirezionale, dinamica e reciproca.

Ritengono che lo stress e le sue caratteristiche dipendano anche dalla relazione reciproca tra richieste situazionali e risorse personali.

Per cui tieni in considerazione che le tue reazioni possono incidere sull’ambiente stressante, come il tuo potere risiede anche nella scelta dell’ambiente, delle persone e delle condizioni nelle quali stare, laddove la scelta è cosa possibile, e può incidere nella tua condizione di stress.

La tua strategia può dunque stare sia nella scelta, sia nell’interazione con l’ambiente e la situazione stressante.
 
L’essere umano mette tuttavia in atto diverse tipologie di reazione allo stress:
  • quando regoli internamente le emozioni negative causate dall’evento stressante puoi parlare di “coping emotion focused”;
  • quando ti attivi per modificare o eliminare le cause dello stress lo puoi chiamare anche “coping problem focused”;
  • poi c’è anche l’evitamento, quando cerchi di ignorare una minaccia attraverso distrazioni e la ricerca di supporto sociale.
 
La psicologia della salute ci fornisce un’ulteriore chiave di lettura, sostenendo che è possibile affrontare la malattia ed il dolore in due modi:
  • mettendo in atto strategie attive di coping, tentando di controllare il dolore (come anche per esempio il rispetto in ogni dettaglio delle indicazioni mediche), o mantenendo un buon grado di autonomia funzionale;
  • mettendo in atto strategie passive di coping, lasciando che gli altri controllino il proprio dolore o gestiscano le aree importanti della propria vita.
Alla luce di questo non mi sento di dire che una è migliore dell’altra, ma che talvolta l’ammettere le proprie debolezze, e considerare anche il supporto esterno può essere più funzionale che gestire le situazioni stressanti con onnipotenza, senza considerare i tuoi limiti.
 
Su questo tema c’è anche chi ha sviluppato un questionario.
Il Vanderbilt Multidimensional Pain Coping Inventory è stato messo a punto nel 1994 ad opera di Smith e Wallston, proponendo una lettura della reazione dell’essere umano attraverso 9 principali strategie di coping:
  • la soluzione attiva del problema,
  • l’evitamento del problema,
  • l’uso della religione,
  • la minimizzazione,
  • la gestione delle emozioni negative (sfogo),
  • l’autocolpevolizzazione,
  • l’isolamento,
  • il catastrofismo,
  • il wishful thinking (pensiero centrato sui desideri).
 
Durante gli studi in psicoterapia ho appreso come lo sviluppo della persona e aspetti relazionali abbiano una potente incidenza nel determinare le principali strategie di coping messe in atto da ognuno di noi, come durante i viaggi vissuti negli ultimi anni in Europa, Asia ed Africa mi sono reso conto della presenza anche di una potente matrice culturale in questo.
 



Personalmente ritengo, in linea con il wishful thinking, che i problemi e le situazioni stressanti nascondano dei desideri e/o dei bisogni insoddisfatti, minacciati o bloccati, e l’agire su questo, considerando ed accettando l’eventuale aiuto degli altri, possa essere un’utile strada da percorrere.
 
Nel modello di psicoterapia proposto dall’Analisi Transazionale viene utilizzato anche un fondamentale strumento, chiamato contratto.
Berne (1961) riteneva infatti che alla base di un percorso terapeutico fosse basilare identificate con il paziente le direzioni, con la caratteristica di essere formulate al positivo, specifiche, raggiungibili ed osservabili, come allo stesso tempo realizzabili e visualizzabili come risultato di cambiamento, tenendo in considerazione le eventuali difficoltà e risorse della persona.

Ed in base a questo ti suggerisco di utilizzare il medesimo processo per analizzare una condizione stressante.
Scoprire il desiderio positivo celato dietro ad un problema ti consentirà di adottare strategie più funzionali all’”andar verso” ciò che vuoi realmente, e dunque allo scioglimento della potenziale situazione pressante.
 
Credo inoltre che in natura si possano trovare innumerevoli metafore e rappresentazioni del tema dello stress management.

Quando un fiume incontra una diga o un blocco può rappresentare per l’acqua occasione per la creazione di un nuovo corso, di una nuova direzione, come per tornare indietro, straripare o abbattere la diga ed il blocco stesso. La decisione è data dall’interazione tra il fiume, l’ambiente esterno e le loro caratteristiche.
E’ dunque anche, tra le varie possibilità, occasione fertile per lo sviluppo di nuove strategie, che altrimenti nella routine quotidiana, e nella perfezione, trovano minore spinta.
 
Come ho appreso durante le lezioni dell’Università dal prof. Bruscaglioni circa 10 anni fa, ed ho poi sempre più trovato conferma nelle persone incontrate, l’occasione maggiore per lo sviluppo e l’aumento della propria motivazione al cambiamento è possibile viverla in quella condizione nella quale avviene una sinergia tra bisogno di “andare da” e desiderio di “andare verso”.

Questa sinergia ricorda però che necessita di essere supportata da un terreno fertilizzato dal tuo senso di autoefficacia percepito, dal concetto di internal focus of control ovvero dalla visione che ciò che avviene è determinato anche dalle tue azioni, e da ciò che in Analisi Transazionale viene chiamato senso di “okness”, quando c’è una visione ed un atteggiamento di base per il quale “io sono ok” e “tu sei ok”.
 
Certo la “morte” di un’idea, di un progetto, di un pensiero, di una direzione  comporta un processo simile all’elaborazione di un lutto, richiedendo di passare per emozioni quali la negazione, la rabbia, la depressione fino a raggiungere l’accettazione. Non intendo dirti quindi che è un percorso semplice da vivere e percorrere, ma che lo puoi affrontare, e può rivelarsi generativo.
 
Talvolta la crisi, il problema e lo stress, se adeguatamente ascoltati, affrontati e vissuti possono veramente essere i migliori assist per lo sviluppo di strategie creative e innovazioni. E’ necessario saper affrontare ed interagire dunque con l’evento stressante, il quale può essere anche un ottimo consigliere.
 
Laddove c’è un blocco non scordare che risiede anche possibilità di cambiamento e generatività.
Per questo desidero salutarti e concludere queste riflessioni citando Thomas Mann:
 

"Le avversità possono essere delle formidabili occasioni”.